il cane Argo ed Ulisse
Ci sono delle narrazioni che hanno del poderoso: spesso le ricordiamo per via della loro bellezza, della profondità, della verità che contengono. Una di queste è il passo dell’Odisseain cui Argo riconosce il suo amico umano Ulisse. La storia è nota: Ulisse torna a casa dopo vent’anni di assenza e si maschera per non farsi riconoscere. Ma non può nascondersi agli occhi del suo cane che, dopo due decenni, ancora lo ricorda. La scena è straziante: Argo riconosce Ulisse, scodinzola un pochino, abbassa le orecchie ma è troppo vecchio e malato e nessuno si prende più cura di lui (è pieno di zecche ci racconta Omero). Ma ha potuto fare per un’ultima volta le feste al suo padrone. Poi muore. E Ulisse piange. È, questa, l’unica lacrima del forte Ulisse. Ecco i versi dell’Odissea che parlano dell’incontro. La traduzione è quella classica di Ippolito Pindemonte: il linguaggio non è contemporaneo (Pindemonte è morto nel 1828), ma lasciatevi trasportare dalla bellezza della poesia e dalla particolarità del momento per gustare pienamente il testo. E magari anche a voi scapperà una lacrima.
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domenica ventuno luglio duemila diciannove
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Pubblicato IL 17/09/2014, ORE 10:35
Appassionato di affari e finanza, amore e relazioni, collezionismo e fumetti, genitori e figli, politica e istituzioni, scuola e università, vita notturna
Hai ragione è bellissima.
per chi preferisce sentirla con la voce di un attore pubblico questo video (di quando la RAI sapeva fare bene il proprio lavoro)
1 commento:
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Grazie SfogliaLibro e ben sentita per la prima volta da d/b. I settori in cui scrivo sono - animali - ambiente e natura - scienza e tecnica ... Hai fatto bene a far tornare alla mente le sagge trasmissioni culturali della rai di un tempo. Ciao a presto da d/b.
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Così dicean tra lor, quando Argo, il cane, - Ch’ivi giacea, del pazïente Ulisse, - La testa, ed ambo sollevò gli orecchi. - Nutrillo un giorno di sua man l’eroe, - Ma còrne, spinto dal suo fato a ....., - Poco frutto poté. Bensì condurlo - Contra i lepri, ed i cervi, e le silvestri - Capre solea la gioventù robusta. - Negletto allor giacea nel molto fimo - Di muli e buoi sparso alle porte innanzi, - Finché i poderi a fecondar d’Ulisse - Nel togliessero i servi. Ivi il buon cane, - Di turpi zecche pien, corcato stava. - Com’egli vide il suo signor più presso, - E, benché tra quei cenci, il riconobbe, - Squassò la coda festeggiando, ed ambe - Le orecchie, che drizzate avea da prima, - Cader lasciò; ma incontro al suo signore - Muover, siccome un dì, gli fu disdetto. - Ulisse, riguardatolo, s’asterse - Con man furtiva dalla guancia il pianto, - Celandosi da Eumeo, cui disse tosto: - Eumeo, quale stupor! Nel fimo giace - Cotesto, che a me par cane sì bello. - Ma non so se del pari ei fu veloce, - O nulla valse, come quei da mensa - Cui nutron per bellezza i lor padroni. - E tu così gli rispondesti, Eumeo: - Del mio Re lungi morto è questo il cane. - Se tal fosse di corpo e d’atti, quale - Lasciollo, a ..... veleggiando, Ulisse, - Sì veloce a vederlo e sì gagliardo, - Gran maraviglia ne trarresti: fiera - Non adocchiava, che del folto bosco - Gli fuggisse nel fondo, e la cui traccia - Perdesse mai. Or l’infortunio ei sente. - Perì d’Itaca lunge il suo padrone, - Né più curan di lui le pigre ancelle: - Ché pochi dì stanno in cervello i servi, - Quando il padrone lor più non impera. - L’onniveggente di Saturno figlio - Mezza toglie ad un uom la sua virtude, - Come sopra gli giunga il dì servile. - Ciò detto, il piè nel sontuoso albergo - Mise, e avviossi drittamente ai Proci; - Ed Argo, il fido can, poscia che visto - Ebbe dopo dieci anni e dieci Ulisse, - gli occhi nel sonno della morte chiuse.